La tradizione della Chiavetta
24-03-2016 16:04 - NEWS
Quest´anno la Chiavetta è stata custodita da Tommaso Picchianti.
Un’antica usanza, ancora oggi praticata dalla Confraternita, è la custodia della Chiave del ‘Sepolcro’ ovvero del tabernacolo posto nell’altare della reposizione durante la Cenae Domini del Giovedì Santo.
Al termine della funzione religiosa, infatti, il sacerdote si reca solennemente con la pisside contenete le Ostie consacrate, all’altare della reposizione che nella nostra tradizione vien chiamato ‘sepolcro’, Al seguito del sacerdote ci sono gli apostoli e i fratelli della Confraternita. Il sacerdote, dopo aver chiuso il tabernacolo, consegna ad un apostolo la chiave legandogliela al collo con un lungo nastro bianco: sarà lui il custode della ‘chiavetta’.
E’ sicuramente un momento suggestivo, perché da quel momento il Confratello diventa simbolicamente il custode del Santissimo Sacramento. Appena il sacerdote consegna la ‘chiavetta’, processionalmente, ci si dirige verso l’abitazione del Confratello dove ad attendere il corteo sono già presenti familiari, amici e fedeli.
Durante il tragitto, la gente sosta ai lati della strada in raccoglimento e con visibile commozione. Qualche donna si fa avanti e bacia la ‘chiavetta’.
Giunti all’abitazione il sacerdote riprende la chiave dal collo del suo custode e l’appende ad un drappo dell’altare allestito presso l’abitazione del Confratello. Segue una breve preghiera e il rito del bacio della chiavetta da parte dei fedeli che verranno a fare visita e rendere omaggio con devozione: per tutta la notte e per il giorno successivo sarà possibile ad ogni cittadino fare una visita e dire una preghiera.
Il giorno dopo, il sacerdote con alcuni Confratelli tornano presso l’abitazione per riprende la ‘chiavetta’, questa volta però in forma meno solenne; per la famiglia che l’ha custodita è un momento di forte emozione, perché il distacco dalla Chiavetta porta un po’ di tristezza.
Durante la liturgia della Croce del Venerdì Santo, la Chiave rimane al collo del custode che al momento della comunione, la riconsegna al sacerdote per riaprire il ‘Sepolcro’: quel giorno, infatti, non viene celebrata la Messa e le uniche Ostie consacrate sono quelle dentro il Tabernacolo.
Il nastro bianco sarà tenuto a ricordo e ‘benedizione’ della famiglia.
Le origini storiche di questa tradizione non sono note anche se qualcuno la associa ad una tradizione tutta spagnola: lì la chiave che chiudeva il Tabernacolo dove veniva riposta l’Eucarestia nel Giovedì Santo, veniva consegnata alla persona più illustre della città, che diventava il custode dell’Eucarestia stessa.
Il sentimento che anima questa tradizione, non è una forma di culto falso o un sostrato di superstizione ma è un chiaro sentimento di devozione e un rimando al Corpo e al Sangue di Cristo offerti per noi nel Sacramento dell’Eucarestia.
Non ho dubbi che si debba proprio a questo ambiente di vita eucaristica la sensibilità e la pietà della giovane Caterina Sordini, nata a Porto S. Stefano nel 1770, e chiamata dal Signore a fondare l’Istituto delle Monache Adoratrici perpetue del SS. Sacramento (Mons. Pietro Fanciulli in La Confraternita del SS.mo Sacramento e di Misericordia di Porto S. Stefano)
Un’antica usanza, ancora oggi praticata dalla Confraternita, è la custodia della Chiave del ‘Sepolcro’ ovvero del tabernacolo posto nell’altare della reposizione durante la Cenae Domini del Giovedì Santo.
Al termine della funzione religiosa, infatti, il sacerdote si reca solennemente con la pisside contenete le Ostie consacrate, all’altare della reposizione che nella nostra tradizione vien chiamato ‘sepolcro’, Al seguito del sacerdote ci sono gli apostoli e i fratelli della Confraternita. Il sacerdote, dopo aver chiuso il tabernacolo, consegna ad un apostolo la chiave legandogliela al collo con un lungo nastro bianco: sarà lui il custode della ‘chiavetta’.
E’ sicuramente un momento suggestivo, perché da quel momento il Confratello diventa simbolicamente il custode del Santissimo Sacramento. Appena il sacerdote consegna la ‘chiavetta’, processionalmente, ci si dirige verso l’abitazione del Confratello dove ad attendere il corteo sono già presenti familiari, amici e fedeli.
Durante il tragitto, la gente sosta ai lati della strada in raccoglimento e con visibile commozione. Qualche donna si fa avanti e bacia la ‘chiavetta’.
Giunti all’abitazione il sacerdote riprende la chiave dal collo del suo custode e l’appende ad un drappo dell’altare allestito presso l’abitazione del Confratello. Segue una breve preghiera e il rito del bacio della chiavetta da parte dei fedeli che verranno a fare visita e rendere omaggio con devozione: per tutta la notte e per il giorno successivo sarà possibile ad ogni cittadino fare una visita e dire una preghiera.
Il giorno dopo, il sacerdote con alcuni Confratelli tornano presso l’abitazione per riprende la ‘chiavetta’, questa volta però in forma meno solenne; per la famiglia che l’ha custodita è un momento di forte emozione, perché il distacco dalla Chiavetta porta un po’ di tristezza.
Durante la liturgia della Croce del Venerdì Santo, la Chiave rimane al collo del custode che al momento della comunione, la riconsegna al sacerdote per riaprire il ‘Sepolcro’: quel giorno, infatti, non viene celebrata la Messa e le uniche Ostie consacrate sono quelle dentro il Tabernacolo.
Il nastro bianco sarà tenuto a ricordo e ‘benedizione’ della famiglia.
Le origini storiche di questa tradizione non sono note anche se qualcuno la associa ad una tradizione tutta spagnola: lì la chiave che chiudeva il Tabernacolo dove veniva riposta l’Eucarestia nel Giovedì Santo, veniva consegnata alla persona più illustre della città, che diventava il custode dell’Eucarestia stessa.
Il sentimento che anima questa tradizione, non è una forma di culto falso o un sostrato di superstizione ma è un chiaro sentimento di devozione e un rimando al Corpo e al Sangue di Cristo offerti per noi nel Sacramento dell’Eucarestia.
Non ho dubbi che si debba proprio a questo ambiente di vita eucaristica la sensibilità e la pietà della giovane Caterina Sordini, nata a Porto S. Stefano nel 1770, e chiamata dal Signore a fondare l’Istituto delle Monache Adoratrici perpetue del SS. Sacramento (Mons. Pietro Fanciulli in La Confraternita del SS.mo Sacramento e di Misericordia di Porto S. Stefano)
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